Roma, 20 marzo 2014
Il futuro delle specialità regionali

1. Alcuni luoghi comuni sulla specialità regionale; 2. La giurisprudenza della Corte costituzionale sulle Regioni speciali: 2.1. Potestà legislativa e suoi limiti (2003-2010); 2.2. Segue: 2011-2014; 3.Finanza pubblica e patto di stabilità (2011-2014); 4. Funzioni amministrative e conflitti di attribuzione (2011-2014); 5. Prospettive e rimedi.

1. Di crisi delle autonomie speciali[1], o almeno di appannamento[2], si è parlato ciclicamente, non sempre a proposito.

Una prima volta dopo l’entrata in vigore del d.P.R. 616/1977, che adottava per le materie oggetto di trasferimento di funzioni amministrative alle Regioni ordinarie definizioni organiche e compatte, facendo sembrare arcaiche ed obsolete le funzioni delle Regioni ad autonomia speciale, e rendendo necessaria quella che fu definita la “rincorsa” sul piano funzionale delle seconde dietro le prime[3]. Un fenomeno analogo non si era invece verificato dopo l’emanazione dei decreti di primo trasferimento del gennaio 1972, per la ben nota tecnica di ritaglio che ne aveva caratterizzato l’impostazione[4].

Una seconda volta dopo le riforme amministrative dette “Bassanini” del 1997/98, che, valorizzando al massimo le autonomie locali e utilizzandole come terminali devolutivi a scavalco e talora a danno delle Regioni ordinarie, avevano inevitabilmente accentuato la divaricazione tra l’autonomia comune e quella speciale[5].

La revisione del Titolo V, oltre a dare fondamento costituzionale alle riforme operate a Costituzione invariata, ha ulteriormente ampliato lo iato tra le due forme del regionalismo sotto tutti i profili corrispondenti agli artt. 117, 118 e 119 Cost. Sul piano legislativo, sia per la tecnica di riparto materiale utilizzata che per l’indubbio scatto in avanti delle Regioni ordinarie, arricchite funzionalmente, alleggerite di vincoli, liberate dai controlli preventivi sull’attività legislativa. Sul piano amministrativo per l’applicazione del principio di sussidiarietà come ascensore della mobilità delle funzioni, da molti giudicato addirittura prevalente sul riparto di competenze legislative o comunque suscettibile di condizionarlo. Sul piano della finanza infrastatale, perché il più articolato disposto del nuovo art.119, inattuato per quasi un decennio, presupponeva dinamiche redistributive tra i tre livelli di governo che per andare a regime richiedevano il coinvolgimento sistematico dell’istanza regionale in quanto inserita in circuiti standardizzati,  incompatibili con discipline anomale a garanzia costituzionale. Su questo versante, infatti, quando finalmente l’entrata in vigore della l.42/2009 ha dato inizio al meccanismo a cascata di messa in opera del cd. Federalismo fiscale, le Regioni speciali ne sono state espressamente eccettuate[6], anche se per esse è stato previsto un percorso alternativo per il conseguimento dell’obiettivo di perequazione e solidarietà e di quello di assolvimento degli obblighi di natura comunitaria e in particolare di quello di osservanza del patto di stabilità e sviluppo.

In tutte e tre le vicende ora accennate, le autonomie speciali si sono trovate, per periodi più o meno lunghi, ad inseguire quelle ordinarie, nel tentativo di recuperare lo spazio di ritardo e se possibile di giungere al ripristino del contenuto della specialità. Questo percorso è stato compiuto, nelle prime due occasioni, in parte minore attraverso la giurisprudenza costituzionale ed in parte prevalente per via di adeguamenti statutari e/o delle norme di attuazione.

Nella terza circostanza, tuttora in corso, il recupero di terreno e la riaffermazione del primato della specialità hanno incontrato difficoltà molto maggiori, per il concorso di diversi fattori sfavorevoli. Da un lato, la congiuntura finanziaria ed economica globale e nazionale ha creato condizioni di estrema scarsità di risorse, acutizzando i problemi di equa distribuzione delle stesse. Alla medesima matrice si ricollega la sensibilizzazione populistica dell’opinione pubblica, sollecitata da una letteratura politologico-giornalistica orientata a mettere demagogicamente in luce non tanto le punte di qualità ed efficienza della specialità, quanto la dimensione del privilegio e quella dello spreco[7] e nelle migliore delle ipotesi sottolinea le asimmetrie[8]. Su di un altro  versante, l’attuazione pur solo iniziale del cd. federalismo fiscale ha consentito di approcciare con una capacità di definizione molto superiore a quella possibile in passato la tematica del costo unitario dei servizi e delle funzioni ai livelli comunale e provinciale nei contesti di autonomia ordinaria, come pure della sanità regionale,  mentre il governo locale nelle Regioni speciali è rimasto in una sorta di cono d’ombra non censito, la cui scarsa penetrabilità ha contribuito a consolidare il disfavore mediatico verso sistemi ritenuti privilegiati. Da ultimo, ma non ultimo, la giurisprudenza costituzionale dell’ultimo decennio, a differenza di quella dell’ultimo quarto del secolo scorso, non ha certo agevolato la conservazione o il ripristino delle garanzie della specialità, optando anzi, con un reasoning non sempre univoco e lineare, per soluzioni di fatto appiattenti e uniformanti, attraverso una molteplicità di percorsi interpretativi convergenti verso un risultato comune. E’ probabile che questo approccio o insieme di approcci non sia stato almeno inizialmente motivato da ostilità preconcetta o da insofferenza per la specialità nel contesto dell’emergenza finanziaria, ma piuttosto che la soluzione delle problematiche destate dal nuovo titolo V per le Regioni di diritto comune abbia imposto equilibri Stato/Regioni ordinarie strutturati in modo tale da non adattarsi facilmente o addirittura da non tollerare adattamenti a situazioni strutturalmente diverse. In particolare, la definizione dell’assetto delle materie dei commi secondo, terzo e quarto dell’art.117 e la ricerca di strumenti sostitutivi dell’interesse nazionale o almeno del suo storico inverarsi nella potestà di indirizzo e coordinamento possono avere fondato penetranti ingerenze statali in ambiti a prima vista riservati alle competenze regionali. Una volta consolidato il nuovo quadro dei rapporti tra Stato e Regioni comuni, può essere riuscito ostico riaprire spazi adeguati alle autonomie differenziate, nonostante gli specifici vincoli costituzionali. In pratica, però, il risultato finale è comunque lo stesso che se la sensibilità verso queste ultime si fosse pregiudizialmente attenuata, e contrastare una lettura del genere è tutt’altro che agevole.

Al di là dei luoghi comuni, non è comunque facile individuare soluzioni efficaci per rimediare al trend obiettivamente sfavorevole ed invertire la tendenza. La maggior parte delle condizioni economiche e politiche sono radicalmente cambiate rispetto alle vicende analoghe del passato. Il case law della giurisprudenza costituzionale dimostra attitudini molto meno compattamente favorevoli alla salvaguardia della specialità. Le tecniche di recupero del passato potrebbero quindi essere insufficienti. Per converso, come ha scritto Bartole[9], è più difficile di questi tempi rintracciare una dottrina della specialità a cui rifarsi nel ritessere una trama resistente e capace di sostenerne la vitalità, e in particolare di siffatta compattezza e stabilità argomentativa non sembra essere in possesso la Corte costituzionale.

Tuttavia, l’analisi del dato giurisprudenziale è imprescindibile per rintracciare qualche filo da utilizzare per la ricostruzione del tessuto connettivo della specialità. L’attenzione dottrinale non è mancata ed ha segnalato varie tematiche rilevanti, anche se l’organicità degli indirizzi lascia molto a desiderare e la casistica fatica a lasciarsi ridurre ad unità, ed anzi spesso sembra essere la stessa Corte a rifuggire la sistematica ed a rifugiarsi in pronunce frammentarie, circoscritte, artigianalmente confezionate su micro-funzioni e non riconducibili a logiche d’insieme.

2.1. Sia ricerche sistematiche che commenti ed annotazioni di singole decisioni costituzionali hanno da tempo evidenziato molte delle principali problematiche insorte nella sfera competenziale delle autonomie speciali dopo la revisione del Titolo V.

In primo luogo, è stato verificato che, nel primo decennio dopo la riforma, nella legislazione regionale differenziata il ricorso all’art.10 della l.cost. 3/2001 come strumento di adeguamento automatico della lista di materie e del contenuto di alcune di esse è stato sporadico, limitato per lo più ai primi anni dopo il 2001, circoscritto in prevalenza alla Valle d’Aosta e più limitatamente alla Sardegna, alla Provincia di Trento esclusivamente con riferimento alle autonomie locali, totalmente assente nella Provincia di Bolzano;  invocato, nel ristretto numero di leggi in cui ricorre, esclusivamente a titolo di supporto integrativo di competenze esistenti, in prevalenza primarie, e non per inaugurarne di nuove, forse con lo scopo di fare venire meno i limiti pacificamente esistenti in  precedenza[10], al di  là della nota posizione della Corte[11] sul tema, in sostanza come clausola di stile[12]. E’ ovvio invece che le difese regionali nei giudizi di costituzionalità, tanto promossi in via principale dal Governo quanto attivati in via incidentale, ricorrano con frequenza quasi sistematica all’art. 10, utilizzandolo come barriera argomentativa integrativa a sostegno della legittimità delle disposizioni contestate, al di là dell’assenza in esse di espliciti richiami, ma non è certo l’uso di tattiche difensive  a poter provare il convinto utilizzo della clausola di aggiornamento espansivo dei cataloghi statutari né tanto meno la rinuncia al consueto, benché ormai meno soddisfacente,  baluardo dello statuto.

La Corte, tuttavia, in una casistica tutt’altro che organica, in alcuni filoni della sua giurisprudenza ha considerato Titolo V e statuti speciali separati ed incomunicanti; in molti altri ha però ammesso l’equivalenza e la fungibilità di ambiti concorrenti o residuali indicati nell’art.117 per le Regioni ordinarie o comunque ricavabili da esso con altre competenze concorrenti e persino primarie a menzione statutaria, utilizzando così l’art.10, forse inconsciamente almeno all’inizio, non nella naturale funzione di adattamento meccanico del catalogo dei settori materiali e della portata di ciascuno al favor specialitatis, ma in quella esattamente inversa di operare una omologazione che non solo pretermette il dato storico appiattendo le differenziazioni in nome dell’interesse nazionale, specie in epoca emergenziale, ma anche di sottoporre le vecchie competenze statutarie a nuovi pregnanti limiti.

Le diverse casistiche derivanti dalla comparazione degli ambiti di competenza alla stregua del primo e del secondo metodo sono state già ampiamente analizzate[13], almeno con riferimento al primo decennio del nuovo regionalismo. Tali disamine, pur nella eterogeneità e non piena coerenza dei materiali, consentono di ricavare alcune conclusioni sulla prassi giurisprudenziale.

Anzi tutto, in almeno alcune materie i limiti verticali imposti dagli statuti a competenze esclusive possono essere equivalenti o almeno molto simili a quelli orizzontali derivanti da esigenze unitarie espresse mediante altre materie dell’elenco del secondo comma dell’art.117 e condizionanti competenze residuali o concorrenti delle Regioni ordinarie; questi stessi limiti orizzontali sono agevolmente suscettibili di applicazione anche alle autonomie speciali nelle loro potestà primarie, che quindi si prestano ad essere incise sia dagli uni che dagli altri, con il risultato che talune censure dei ricorsi statali possono persino venire assorbite, bastando a sanzionare il  legislatore regionale l’impiego di uno solo dei limiti possibili, con priorità per quello statutario dei principi di riforma economico-sociale, anche se in teoria le norme fondamentali di riforma non portano all’esproprio dell’intera competenza primaria, mentre il bilanciamento con una materia-limite può condurre alla prevalenza totale della seconda; l’omogeneizzazione e addirittura l’interscambiabilità di limiti orizzontali ex art.117 e verticali ex statuto talora contribuisce a rendere oscuro il criterio di scelta del giudice costituzionale; preliminare al raffronto tra materie statutarie e materie a disciplina costituzionale generale è la riconduzione o sussunzione dell’attività oggetto di contestazione ad una materia, ed a questo fine la ricostruzione storico-normativa viene preferenzialmente usata per le Regioni ordinarie, mentre per le specialità prevale il criterio teleologico, benché i risultati siano in misura largamente prevalente centralistici, al punto che si può dubitare se il metodo di sussunzione sia prescelto in funzione del risultato; tuttavia, per le autonomie differenziate non vi è dubbio che le modalità storiche di esercizio di una funzione, con interventi legislativi e persino in via amministrativa, possa fungere da schermo protettivo contro interferenze statali.

2.2. Da ultimo,  nel quinquennio più recente, le Regioni speciali e le Province autonome non sono praticamente mai riuscite ad ottenere dalla Corte la tutela della propria sfera di competenze, sia che si trattasse di ambiti di legislazione primaria sia di quella concorrente, affermata su base statutaria o più raramente sul fondamento dell’art.117 terzo comma o dell’art.10 l.cost.3.

Forse l’unico successo della specialità è rappresentato dalla sentenza 109/2011[14], in cui la Provincia di Trento invoca la  potestà esclusiva di cui all’art.8, primo comma, n.13 dello statuto regionale in materia di opere di prevenzione e pronto soccorso per calamità pubbliche, per contestare l’invasività delle disposizioni urgenti per fronteggiare lo stato di emergenza rifiuti in Campania e per l’avvio della fase post-emergenziale in Abruzzo (art.17, commi 1 e 2 del d.l. 195/2009, convertito in l.26/2010), nella parte in cui contemplava la nomina di un commissario straordinario solo sentiti Presidenti di Regioni o Province autonome. Nella specie la Corte valorizza l’esistenza sin dal 2006 di un piano generale per l’utilizzazione delle acque pubbliche, ai sensi dell’art.14, terzo comma, dello statuto, disciplinato peraltro anche dal d.P.R. 381/1974 che già prevedeva espressamente l’esercizio di tutte le funzioni pubbliche in materia di urbanistica, acque pubbliche, opere idrauliche, opere di prevenzione e pronto soccorso per calamità pubbliche e lavori pubblici di interesse provinciale, nelle forme degli artt. 8. 9 e 16 dello statuto. Sembra che le competenze primarie si giovino qui dell’usbergo di discipline statali anteriori a quella contestata e contenenti espressi riconoscimenti di competenza, già esercitata dalla Provincia, nonché criteri procedurali. E’ insomma uno spesso strato protettivo di disposizioni statali a ergersi a tutela delle attribuzioni esclusive.

Da questa decisione in poi si inanella infatti una lunga serie di soccombenze delle autonomie speciali, in cui le competenze primarie non fungono da scudo sufficiente a resistere a forze unificanti diversamente atteggiate. Ad esempio, la quasi contestuale sentenza 112/2011[15] rigetta il tentativo della Provincia di Bolzano di azionare la potestà esclusiva dell’art.8 n.14 dello statuto in tema di miniere, acque minerali e termali, cave e torbiere per lamentare l’incostituzionalità della recente disciplina statale delle risorse geotermiche (l. 23 luglio 2009, n.99 e d.lgs. 11 febbraio 2010, n.22). La Corte, dopo avere ricordato la specificità del plesso normativo statale formatosi in precedenza, tra il 1986 e il d.lgs.112/1998, accoglie bensì la censura provinciale concernente la titolarità delle risorse stesse ma respinge quelle relative alla gestione di esse utilizzando sia i principi di riforma economico-sociale sia la trasversalità della protezione ambientale. Analogamente, la sentenza 114/2011[16] accoglie la contestazione statale del regime degli appalti adottato dal Friuli-Venezia Giulia comportante l’applicazione automatica dell’esclusione delle offerte anomale al metodo del prezzo più basso, rilevando sia la violazione di principi di riforma economico-sociale ricavati dal codice statale degli appalti sia le competenze statali di cui all’art.117 lett. e ed l, relativi a concorrenza ed ordinamento civile, ritenuti prevalenti sulla competenza primaria dell’art.4, n.9 dello statuto in materia di opere pubbliche.

Ancora, la 164/2012[17] rigetta la contestazione della Valle d’Aosta contro la trasformazione statale della DIA in SCIA fondata sulla rivendicazione di competenze residuali in tema di industria, commercio ed artigianato ex art.117, quarto comma, trasposto nell’ordinamento regionale mediante la clausola di favore dell’art.10. E sullo stesso oggetto la 203/2012[18] respinge la rivendicazione, da parte della Provincia di Trento, di competenze primarie fondate sull’art.8, nn. 1, 9, 14 e 20 e sulle norme di attuazione del 1992 “o comunque per violazione” degli artt. 117-120 del rinnovato Titolo V, ad opera delle misure di stabilizzazione finanziaria e competitività economica (d.l.78/2010, convertito in l. 122/2010). In entrambi i casi la Corte oppone alle pretese autonomistiche la materia non-materia della determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni, non diversamente da quanto già stabilito per le Regioni ordinarie[19].

La decisione 278/2012[20] cancella le difformità di durata del periodo di caccia e di modalità di esercizio di essa introdotte dalla Provincia di Bolzano sulla base delle competenze primarie in materia di caccia e pesca, parchi e protezione di flora e fauna (art.8, nn.15 e 16), utilizzando, come proposto dalla difesa erariale, la trasversalità e primazia del concetto di ambiente, costituente valore primario ed assoluto, con conseguente “prevalenza …assegnata alla legislazione statale rispetto a quella dettata dalle Regioni o dalle Province autonome”.

La 299/2012[21] respinge le censure di Friuli, Sardegna e Sicilia, oltre che di un gruppo di Regioni ordinarie, contro il d.l.201/2011, convertito in l. 214/2011 “salva-Italia”, sotto il profilo della piena liberalizzazione delle attività commerciali in termini di orari e giornate di apertura, utilizzando la trasversalità del valore della concorrenza ex art.117, secondo comma, lett.e, anche in presenza di una deregolazione pressoché totale, tale da svuotare la materia di qualsiasi contenuto, in pratica senza distinguere tra le competenze delle Regioni ordinarie e quelle statutarie primarie delle speciali. Non troppo diversamente la sentenza 38/2013[22] accoglie il ricorso del Governo contro la Provincia di Bolzano sulla disciplina dell’apertura di punti vendita per il commercio al dettaglio nelle zone produttive, scegliendo, tra motivi di impugnazione assortiti, inclusivi sia dell’art.117 che delle competenze concorrente sul commercio (art.9, n.3) ed esclusiva sull’urbanistica (art.8, n.5), l’argomento ormai onnicomprensivo della prevalenza della concorrenza su qualsiasi materia statutaria.

La decisione 145/2013[23] respinge il ricorso statale contro la disciplina della Provincia di Trento in materia di cave sotto il  profilo dell’eccesso di proroghe alla coltivazione e della presunta sottrazione degli impianti più risalenti alle valutazioni di impatto ambientale. L’impugnazione era stata proposta utilizzando sia la norma statutaria (art.8, primo comma, n. 14) che contempla la potestà primaria sia l’art.117, secondo comma, lett. s. Il rigetto si fonda peraltro sull’erronea interpretazione statale delle norme contestate ed in particolare, in fatto, sull’assenza di cave mai sottoposte a VIA. Tuttavia la motivazione inizia dalla perentoria affermazione che “non [è] in discussione che la potestà legislativa primaria in materia di miniere comprese le acuqe minerali e termali, cave e torbiere….trovi un limite nella competenza affidata in via esclusiva allo Stato, ai sensi dell’art.117, secondo comma, lett. s, Cost., di disciplinare l’ambiente nella sua interezza, in quanto entità organica, che inerisce ad un interesse pubblico di valore costituzionale primario  ed assoluto…”[24].

Infine, la sentenza 28/2014[25] affronta il tema della disciplina statale in tema di concessioni idroelettriche introdotta dal d.l.83/2012 “Misure urgenti per la crescita”, censurata da entrambe le Province autonome. I due ricorsi azionavano tanto le competenze statutarie primarie e le relative norme di attuazione del 1977 quanto gli artt. 116 e 117, secondo comma, della Costituzione attraverso l’art.10.  La Corte richiama prima i limiti alla potestà legislativa provinciale consistenti nel rispetto degli obblighi derivanti da diritto comunitario e rispetto degli accordi internazionali, ai sensi dell’art.117, secondo comma, e dei principi fondamentali delle leggi dello Stato, ma fonda la decisione sulla competenza statale a tutelare la concorrenza ed a stabilire i principi fondamentali della produzione, del trasporto e della distribuzione generale dell’energia.

In conclusione, nell’ultimo quinquennio le tendenze processuali e giurisprudenziali del decennio precedente che potevano avere connotazioni di pregiudizio per le autonomie speciali si sono venute accentuando. Che alcune ricadute sfavorevoli di scelte metodologiche anche a prima vista favorevoli fossero deliberatamente contemplate in funzione, appunto, degli effetti, poteva essere inizialmente un sospetto, mentre ora è divenuta una certezza.

Le impugnazioni statali utilizzano sempre più frequentemente come motivi di ricorso il secondo ed il terzo comma dell’art.117, anche quando le norme regionali contestate siano riconducibili a competenze statutarie primarie, mentre la violazione di queste ultime viene allegata solo residualmente. Le stesse impugnazioni delle autonomie speciali ricorrono con crescente assiduità all’invocazione dell’art.117 ed anche dell’art.119, assistiti dalla clausola di favore del’art.10 della l.cost. 3/2001.

La Corte, per converso, si rivolge ormai con totale disinvoltura alle materie trasversali, a quelle obiettivo, alle materie-non materie ed a quelle valore, per impiegarle come limiti alla potestà statutaria primaria in funzione unificante. Questo progressivo trend verso il bilanciamento con esito sfavorevole alle autonomie differenziate tende a sboccare in una omogeneizzazione sia di potestà concorrenti ed esclusive sia di autonomie ordinarie e speciali, non solo quando i ricorsi dei due tipi di Regioni vengono riuniti e decisi insieme ma anche in presenza di sole impugnazioni delle Regioni speciali o delle Province autonome. L’utilizzo di concorrenza[26], ambiente, livelli essenziali delle prestazioni, ordine pubblico e sicurezza pubblica[27] e persino ordinamento civile dello Stato è sistematico, al punto da avere reso quasi marginale quello dei principi di riforma economico-sociale. E ciò nonostante che la Corte stessa abbia inizialmente suggerito[28] che nel mutato ordine dei rapporti tra legislazione statale e legislazione regionale la potestà legislativa statale richieda un preciso titolo di legittimazione[29].  La capacità di resistenza di testi normativi delle autonomie speciali impugnati od anche contestati in via incidentale è dunque fortemente attenuata, ed è rafforzata solo in casi in cui gli stessi interventi legislativi siano radicati nel tempo e subiscano minori adeguamenti.

Da un lato, dunque, l’art.10 della l.cost. 3/2001 subisce così una sorta di torsione o eterogenesi dei fini, costituendo una valvola a doppio senso, non tanto capace di estendere la potestà regionale o provinciale a settori nuovi ovvero a segmenti o frazioni di funzioni non contemplate nei testi statutari, ma piuttosto da canale passivo di entrata nella sfera autonomistica delle attribuzioni statali, ad inclusione di quelle anomale, idonee a fungere da limitazione. Tale uso non corrisponde al senso genetico della formula: una volta scontato che l’esito dell’applicazione dell’art.10 diviene sfavorevole in ragione dei limiti che esso introduce, magari nonostante la maggiore latitudine o densità della materia rispetto al dato statutario, si domanda se la torsione non divenga un rovesciamento dell’impostazione dell’istituto[30]. Sul piano sistematico, è certo importante il principio di “non frammentazione degli istituti”[31] o di “unitarietà”[32], ma la coerenza di sistema non può andare a scapito delle risultanze concrete dell’interpretazione, anzi semmai deve orientare quest’ultima in senso operativo. In altre parole, non corrisponde ad alcuna logica di esegesi orientata verso la pratica di valutare in astratto la estensione di una materia secondo entrambi i binari possibili, effettuare la scelta e scoprire solo a posteriori che i limiti, orizzontali più spesso che verticali, applicabili alla definizione prescelta sono più restrittivi di quelli imposti dalla soluzione opposta. Da altro punto di vista, non può più parlarsi di porosità tra i due elenchi, generale ex art.117 e statutario, pur tendenzialmente costituenti binari distinti, ma di completa permeabilità.

Specularmente, leggi statali attaccate in via principale da Regioni speciali o Province autonome tendono a cadere esclusivamente quando si tratti di disposizioni che contraddicano plessi normativi consolidati o prescindano dai più elementari adempimenti procedurali in termini di leale collaborazione.  E’ cessato infine il fenomeno del riconoscimento di materie nuove alle autonomie differenziate a partire dalla residualità dell’art.117, quarto comma, o anche dai settori di potestà concorrente del terzo comma,  sempre con il favore dell’art.10; lo stesso può dirsi del consolidamento o adeguamento ampliativo di competenze statutarie sempre grazie alla clausola di favore. E’ conclusa anche, o ridotta a casi del tutto eccezionali,  l’applicazione del principio “in dubio pro statuto”[33]. Evidentemente nel ciclo precedente si sono esauriti gli spazi disponibili, o forse Regioni speciali e Province autonome hanno ripiegato su un approccio più difensivo, anche in ragione della linea assunta dalla giurisprudenza costituzionale.

3. Sul terreno della finanza pubblica lo schiacciamento dell’autonomia speciale negli anni più recenti è andato persino oltre quello relativo alle materie non finanziarie, specialmente dopo che la successione di misure concernenti l’osservanza del patto di stabilità e sviluppo, il rilancio dell’economia e l’omogeneizzazione della contabilità è venuta accentuando la pressione su Regioni ed enti locali.  Le Regioni speciali e le Province autonome hanno bensì spuntato qualche successo nei ricorsi in via principale, ma solo in casi limite. La capacità del metodo pattizio di opporre barriera all’interventismo statale è stata messa a dura prova, e talvolta ha ceduto alle ragioni dell’emergenza, capaci persino di trasformare prescrizioni pacificamente di estremo dettaglio in strumenti capaci comunque di “realizzare in concreto le finalità del coordinamento finanziario[34].

Il punto di partenza di questo filone giurisprudenziale è probabilmente la sentenza 182/2011[35], che, pur concernendo una Regione ordinaria, statuisce nel senso della possibilità di estrapolare per via induttiva da disposizioni puntuali di legge statale principi fondamentali del coordinamento finanziario valorizzando l’elemento teleologico delle misure limitative dell’autonomia finanziaria. Tale affermazione viene poi temperata nella 205/2011, di poco successiva[36] e sempre riguardante Regioni ordinarie, nella quale la Corte concilia il senso complessivo della manovra con il  vaglio analitico di singole disposizioni[37].

Facendo applicazione di questo metodo, poi, la sentenza 139/2012 respinge il ricorso della Valle d’Aosta, insieme a quelli di altre Regioni ordinarie, promosso contro il  decreto di stabilizzazione e competitività 78/2010 in base agli artt. 117 e 119 Cost., sull’assunto che la disciplina statale non intenda porre l’osservanza puntuale di precetti puntuali ma solo riduzioni di spese globali costituenti principio fondamentale di coordinamento della finanza pubblica le cui ricadute costituiscono meri dati di fatto[38]. La quasi coeva sentenza 151/2012[39], tenendo conto dell’entrata in vigore della l.220/2010 che definisce le modalità del concorso della Valle d’Aosta all’assolvimento degli obblighi finanziari imposti dall’Unione Europea e dal coordinamento della finanza pubblica, esclude l’applicabilità diretta di altre misure previste dallo stesso d.l.78/2010 per le annualità successive al 2010, mentre per quella del 2010 rigetta  il ricorso regionale in quanto indirizzato contro un principio fondamentale del coordinamento finanziario: in altre parole, la barriera difensiva del metodo pattizio di controllo della spesa applicato alle autonomie speciali sembra reggere almeno nel senso dell’applicazione mediata e negoziata di misure di contenimento; le censure regionali erano state proposte in base al Titolo V ma anche alla disposizione statutaria (art.3, primo comma, lett. f), ormai meno ampia di quella generale e tale da transitare dal carattere suppletivo alla facoltà di legiferare direttamente in osservanza dei principi della materia. Quando poi altre disposizioni delle stesse misure urgenti vengono contestate dalla Provincia di Trento sotto il profilo dell’introduzione della segnalazione certificata di inizio attività (SCIA) per violazione di norme statutarie o comunque del Titolo V attraverso la clausola di favore, la Corte preferisce dichiarare prevalente la competenza esclusiva statale sui livelli essenziali,  più forte anche sull’autonomia speciale[40].

Dopo di ciò, le plurime impugnative da parte di istanze di autonomia speciale del d.l. 78 e delle misure consimili hanno dato esiti alterni. Ad esempio, la sentenza 178/2012[41], affrontando la questione della legittimità costituzionale del d.lgs 118/2011 sulla armonizzazione dei sistemi contabili e degli schemi di bilancio, respinge i ricorsi delle Regioni speciali e delle Province autonome sull’assunto che tale disciplina non sia direttamente applicabile in assenza della apposita procedura pattizia, come pure le disposizioni sulla contabilità sanitaria censurate dalla Provincia di Bolzano, mentre esclude che il mancato raggiungimento dell’accordo nel termine di sei mesi possa impedire l’applicazione della normativa contestata. La sentenza 215/2012[42], su ricorso di varie Regioni ordinarie e della Valle d’Aosta, dichiara infondate le questioni proposte contro le disposizioni relative ai cd. costi della politica in quanto costituenti principio fondamentale del coordinamento finanziario, ribadisce che a partire dal 2011 l’intervenuta intesa pattizia, in attuazione dell’avvio del federalismo fiscale, con la modifica dell’art.50 dello Statuto, consente di chiamare la Regione solo agli impegni accettati consensualmente, mentre quanto al 2010 di fronte al principio fondamentale della finanza pubblica cedono sia l’art.3 dello Statuto che gli artt.117 e 119, applicabili grazie alla clausola di maggior favore. La 3/2013 accoglie il ricorso statale contro la legge finanziaria del Friuli per violazione di principi fondamentali della finanza pubblica ricavati dal d.l.78/2009 in materia di stabilizzazione del personale e utilizzo di graduatorie, sulla sola base dell’art.117, terzo comma, oltre che degli artt. 3 e 97[43]. La 36/2013[44] accoglie censure statali contro disposizioni della Sardegna concernenti la liquidazione delle prestazioni pensionistiche dei propri dipendenti per violazione di principi fondamentali della finanza pubblica. La 221/2013[45] invalida la disciplina della provincia di Bolzano portante riduzioni di spesa della stessa natura di quelle prescritte dal d.l.78/2010 ma di entità inferiore a quanto previsto, sull’assunto della prevalenza del principio di coordinamento della finanza pubblica, senza che si possa opporre l’art.79 dello Statuto, che si applicherebbe solo al profilo del patto di stabilità: lettura questa estremamente restrittiva, se non contraria allo stesso dato testuale. Quando poi  Friuli e Sardegna, insieme a varie Regioni ordinarie, contestano le Disposizioni urgenti per la revisione della spesa pubblica di cui al d.l. 95/2012 per violazione degli artt. 4 e 54 dello Statuto della prima in materia di ordinamento degli uffici e degli artt.3 e 7 di quello della seconda, oltre che dell’art.117, quarto comma inclusivo della potestà residuale sull’organizzazione degli uffici e dell’art.119, la Corte adotta una sorta di decisione interpretativa di rigetto, allegando che in base all’art.24 bis del d.l., inserito dalla legge di conversione, le discipline contestate sono applicabili alle Regioni speciali solo salva la garanzia del rispetto degli Statuti speciali e l’osservanza dei percorsi procedurali per la loro motivazione[46]. Viene invece accolto dalla 263/2013[47] il ricorso delle due Province autonome contro le misure urgenti per la crescita (d.l.83/2012), nella parte in cui pretendono di imporre direttamente la gratuità degli incarichi nelle comunità di valle, censurate dalle ricorrenti per l’eccessivo dettaglio, utilizzando invece l’art.79 dello Statuto e l’assenza di apposita concertazione. Quando sono invece Friuli e Sardegna a contestare le disposizioni urgenti sulla finanza degli enti locali (d.l.174/2012) quanto ai cd. costi della politica, lamentando l’eccessivo dettaglio della disciplina adottata, la risposta della Corte è negativa, in quanto in assenza di modificazione statutaria la difesa rappresentata dall’art.27 della l.42/2009 consiste in mera norma primaria, pur prevedendo una sorta di riserva di competenza alle norme di attuazione degli statuti: pertanto anche norme di dettaglio possono, in presenza di un contesto di grave crisi economica, discostarsi dal modello della concertazione, non costituzionalmente necessitata in assenza di norma statutaria, specie quando si ispirino a criteri premiali e sanzionatori, conformi allo spirito complessivo della l.42 e non configuranti obblighi pieni[48]. Le pronunce sul ricorso della Provincia di Bolzano[49] relative a disposizioni del d.l.78/2010, in cui viene opposto allo Stato l’art.79 dello Statuto, non sono ancora state pubblicate.

Non si può ovviamente dimenticare che le autonomie speciali hanno ottenuto da pronunce della Corte sia la facoltà di istituire tributi propri, in contrasto con il blocco per le Regioni ordinarie, in attesa della disciplina statale di coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario[50], sia il potere di intervenire sui tributi statali devoluti o compartecipati[51]. Nondimeno, la pressione sulla spesa a partire dal 2008 e in particolare dopo il 2010 si è accentuata al punto di mettere a rischio la dimensione finanziaria dell’autonomia differenziata, con particolare riguardo all’efficienza del metodo pattizio come strumento di condivisione degli obiettivi del coordinamento della finanza pubblica.

4. Più problematico è ricostruire un quadro organico della giurisprudenza costituzionale sulle funzioni amministrative nel rapporto tra Stato ed autonomie differenziate, per una pluralità di motivi. Anzi tutto perché le dinamiche dell’art.118 possono bensì determinare chiamate in sussidiarietà, ma non dovrebbero avere ricadute sulle Regioni speciali e le Province autonome, in cui la disciplina statutaria costituisce schermo protettivo adeguato verso interferenze statali, d’altronde improbabili ove non entri in gioco la competenza di organi periferici dello Stato. In secondo luogo, i conflitti di attribuzione hanno in linea di principio oggetti molto diversi, sia per materia che per natura dell’atto contestato, dando così luogo ad una rilevante frammentazione del case-law.

Se tuttavia ci si accontenta del dato statistico, anche in questo ambito si registra una soverchiante prevalenza di successi statali, quale che sia la parte ricorrente. In alcuni casi, si tratta di ricorsi ad alta atipicità, come quelli proposti dalla Provincia di Bolzano contro il  sequestro di documentazione di spesa e di registri da parte della procura erariale[52], dichiarato  inammissibile in quanto strumento improprio di censura dei modi di esercizio della funzione giurisdizionale, ovvero contro l’approvazione del programma di lavoro ed analisi della locale sezione di controllo della Corte regionale dei conti, ritenuto infondato in ragione della tutela dell’unità economica e delle esigenze della finanza pubblica[53].  In altri, è stata la natura dell’atto, una e-mail intesa a sancire l’obbligo della Provincia autonoma di comunicare i dati sul patrimonio, a provocare la statuizione di inammissibilità per la natura chiarificatoria e non imperativa, oltre che per la provenienza da organo statale non idoneo a rappresentare esternamente lo Stato[54]. Alquanto inusuale anche il gravame proposto dalla Sardegna contro la nota della Ragioneria generale dello Stato recante invito a rivedere la proposta di accordo sulle modalità attuative del patto di stabilità, attaccata per violazione di varie disposizioni statutarie e del principio di leale collaborazione, ma anche per contrasto con il  Titolo V: la Corte ha ritenuto che lo Stato non intendesse sottrarsi al confronto o imporre preclusivamente il raggiungimento del consenso in forme predeterminate[55].  Infrequente anche l’impugnativa proposta dal Friuli contro il verbale dell’Ufficio elettorale centrale che assegnava alla circoscrizione regionale della Camera dei deputati dodici anziché tredici seggi, dichiarato inammissibile per il carattere vincolato di tale atto ai sensi di legge[56]

Tra i ricorsi più tradizionali, almeno alcuni conflitti meritano citazione. Anzi tutto, quello deciso con sentenza 207/2012[57] con cui il procedimento semplificato di autorizzazione paesaggistica introdotto con regolamento e impugnato dalla Provincia di Trento viene ricondotto, oltre i limiti statutari, ai livelli essenziali di assistenza; quello promosso dalla Provincia di Bolzano contro un decreto di riconoscimento di titolo di maestro di sci conseguito all’estero, in cui la Corte aggira il  problema della sussistenza di una competenza statutaria primaria (artt.8, n.1, 16  e 20) affermando il difetto di lesività, non essendo stata richiesta l’iscrizione nell’albo provinciale[58]; quello attivato dalla Provincia di Bolzano contro il d.P.C.M. di acquisizione al bilancio statale di parte dei fondi per la promozione di aree territoriali svantaggiate confinanti con le Regioni speciali, giudicato infondato sia in base all’art.119 Cost. sia alle norme statutarie revisionate dopo il cd. Accordo di Milano[59]; infine, quello instaurato dalla Sicilia contro il decreto ministeriale di determinazione del maggior gettito della tassa automobilistica da riservare allo Stato con detrazione del minor gettito arretrato da riconoscere alle autonomie speciali, risolto anch’esso con l’inammissibilità per mancata impugnazione di atti normativi anteriori[60].

5. Il quadro qui sinteticamente ricostruito, che peraltro riproduce e conferma percezioni assai diffuse nella dottrina, attesta un’involuzione giurisprudenziale di segno largamente negativo per le autonomie speciali. Nelle precedenti occasioni, in cui gli scatti in avanti del regionalismo avevano via via  premiato l’autonomia regionale di diritto comune  e costretto quella speciale ad un faticoso ma alla fine riuscito recupero, il sistema complessivo era sempre riuscito a riassestarsi su equilibri differenziati, tutto sommato rispettosi del dato di partenza. Dopo il 2001 non si è manifestata analoga capacità di recupero.  Sul piano delle competenze, la giurisprudenza costituzionale ha imboccato percorsi interpretativi nel complesso indirizzati verso l’omogeneizzazione della legislazione e dei suoi limiti costituzionali. Sul piano della finanza, si è pure assistito ad una riduzione della differenziazione, a cui del pari hanno contribuito le sentenze della Corte: in più la crisi economico-finanziaria e la parziale attuazione del cd. federalismo fiscale hanno disposto l’opinione pubblica verso un atteggiamento demagogicamente ostile, che ha smarrito il valore degli antefatti storici e tende a percepire le differenze come privilegi ormai privi di fondamento logico, nonostante la presenza nel Titolo V di una disposizione quale il rinnovato art.116[61].

A quasi quindici anni di distanza dalla revisione costituzionale è quindi lecito interrogarsi sulla possibilità di invertire questo insieme di tendenze e ristabilire condizioni di differenziazione munite di adeguata salvaguardia e al tempo stesso accettabili da una larga parte dell’opinione pubblica.

Qualche percorso in questa direzione è stato già individuato in sede dottrinale. Altri sono forse confusamente avvertiti e meriterebbero approfondimenti e sviluppi, sul piano concettuale come su quello operativo.

Una prima linea strategica dovrebbe consistere nel rafforzamento delle garanzie statutarie. Ad esso si è pensato in specie  nei primi anni successivi alla revisione costituzionale del 2001[62]. In quella fase si era giustamente pensato ad adeguamenti non meramente formali, ma ad integrazioni materiali del contenuto statutario che permettessero di superare la clausola dell’art.10 e di riespandere la specialità nel nuovo contesto costituzionale, ricercando delicati equilibri tra unità e autonomia, tra uniformità e diversificazione,  nel rispetto di incomprimibili principi di regime; si era altresì riflettuto sulla possibilità di ricavare nuovi spazi per le potestà integrative-attuative dentro gli ambiti del secondo comma dell’art.117, nonché di trasformazione di materie concorrenti in esclusive; si era disquisito sulla revisione come atto, istantaneo ed organico, ovvero dinamico e progressivo, tradizionale o pattizio; si era persino discusso di ampliamento della materia statutaria fino ad includere diritti fondamentali.

Oggi, tuttavia, essa non è facilmente percorribile in una fase della vita politico-istituzionale italiana in cui l’apertura di tavoli di livello costituzionale è suscettibile di sviluppi imprevedibili, al di là della complessità del procedimento necessario. In subordine, è dunque consigliabile la via del rafforzamento delle norme di attuazione, in termini sia quantitativi che qualitativi, per consolidare le materie e le funzioni della sfera legislativa, definirle nella maniera più organica e precisa, anche in funzione integrativa dello statuto, essendo pacificamente ammesso il loro uso praeter legem. Il metodo pattizio che presiede alla loro elaborazione avrebbe il vantaggio di ridurre la conflittualità e di legittimare la difesa delle prerogative regionali[63]. Certo non è pensabile che si ottenga per questa via di blindare in termini assoluti la potestà legislativa regionale. Né vale il richiamo alle esperienze spagnola e britannica, essendo la prima avvezza dall’origine alla Oggi, differenziazione a geometria variabile e la seconda congegnata secondo criteri pragmatici, nei quali non trova posto alcuna tutela giurisdizionale. Tuttavia, l’esperienza giudiziale insegna che, persino negli ultimi difficili anni, la Corte fatica a superare, quando si affaccia prepotente la spinta di un’esigenza uniformante, le barriere costituite in primo luogo da norme di attuazione consolidate e contenenti definizioni organiche delle materie ed eventualmente elenchi anche solo esemplificativi di funzioni ed in secondo luogo strati di legislazione o persino di prassi amministrative direttamente pertinenti.

Un’altra linea di difesa e recupero, tanto sul fronte della dimostrazione di un’adeguata partecipazione allo sforzo di perequazione e solidarietà, oltre che di razionalizzazione, imposto dall’art.119, quanto sul versante dell’opinione pubblica e della necessità di rimuovere l’ingenerosa immagine di privilegi e sprechi, dovrebbe essere rappresentata dalla prova, in molti contesti non difficile, dell’efficienza delle amministrazioni speciali. Sinora, per effetto dell’art.27 della l. 42/2009, le autonomie differenziate sono rimaste estranee al circuito principale di attuazione del federalismo fiscale[64], proprio nel momento in cui –come è stato rilevato[65] – l’attenzione della dottrina si è spostata dai profili istituzionali delle forme di governo composte a quelli finanziari. In particolare, la determinazione dei costi standard dei servizi e delle funzioni[66] e dei relativi fabbisogni, vera e propria unità di conto per la misurazione del lavoro degli enti locali, dei criteri di spesa e della successiva perequazione[67], ha lasciato fuori il governo locale delle Regioni speciali e delle Provincie autonome, pur essendo individuato anche per esse un percorso particolare verso il superamento della spesa storica, peraltro rispettato solo dalle autonomie speciali alpine. Sarebbe invece opportuno che studi analoghi a quelli realizzati su scala nazionale venissero eseguiti anche nei contesti di autonomia differenziata. La verifica di efficienza amministrativa respinge le censure di spesa improvvida o esagerata, legittima l’investimento in servizi sofisticati, svuota di fondamento percezioni superficialmente ostili dell’opinione pubblica generale e della stampa in particolare, dimostra l’infondatezza dell’accusa di vivere al di sopra delle proprie possibilità[68]. In termini più tecnici, la trasparenza della spesa unitaria consente di dare evidenza ai fattori che condizionano l’aggregato: latitudine delle competenze, peso del dato geotopografico, peculiare rapporto tra la finanza regionale o provinciale e quella locale[69], peraltro tutti menzionati dall’art.27, comma 2, della l.42. Ad una operazione di analisi dei costi e dei fabbisogni standard non dovrebbe ostare in alcun modo la natura bilaterale dei meccanismi di revisione degli assetti finanziari globali[70], pur perseguita secondo modelli diversi, definiti “alpino” e “insulare”.

Giuseppe Franco Ferrari

 

 

 

 

 

 



[1] Parla ancora di crisi di identità P. Giangaspero, Le Regioni speciali dieci anni dopo la riforma del Titolo V, Le Regioni, 2011, 765 ss.

[2] G. Silvestri, Le Regioni speciali tra limiti di modello e  limiti di sistema, Le Regioni, 2004, 1199 ss.

[3]Cfr. D. Borgonovo Re, Le autonomie locali nel quadro della specialità regionale: fragilità di un modello, Le Regioni, 2002, 174 ss.

[4] V. ad es. F. Bassanini, I decreti di trasferimento delle funzioni amministrative alle Regioni nel quadro delle autonomie regionali, in P. Calandra (a cura di),  Il trasferimento delle funzioni statali alle Regioni, Roma, 1972, 42 ss.

[5] Cfr. ad es. G. Mor, Introduzione, Le autonomie speciali alla ricerca di un’identità, Bologna, 1988, 1 ss.

[6] Art. 27.

[7] Cfr. ad es. il recente volume di P. De Robertis, La casta a statuto speciale, Conti, privilegi e sprechi delle Regioni autonome, Soveria Mannelli, 2013, che raccoglie e sistematizza dati peraltro non nuovi sul terreno delle entrate, delle spese e degli sprechi, presentando il quadro di insieme come uno dei maggiori scandali italiani.

[8] Come fa anche qualche pubblicista: cfr. ad es. M. Salerno, Autonomia finanziaria regionale e vincoli europei di bilancio, Napoli, 2013, 149 ss.

[9] S. Bartole, Esiste oggi una dottrina delle autonomie regionali e provinciali speciali?, Le Regioni, 2010, 863 ss.

[10] Come aveva proposto A. Anzon, Il difficile avvio della giurisprudenza costituzionale del nuovo Titolo V della Costituzione, Giur. cost., 2003, 1149 ss.

[11] Cfr. le sentenze 274/2003, 236/2004 e numerose altre negli anni successivi.

[12] V. soprattutto I. Ruggiu, Le “nuove” materie spettanti alle Regioni speciali in virtù dell’art.10. legge costituzionale 3/2001, in Le Regioni, 2011, 775 e in R. Bin, L. Coen (a cura di), l’impatto del Titolo V sulle Regioni speciali. Profili operativi, Udine, 2011.

[13] Cfr. soprattutto, S. Parisi, La potestà primaria alla deriva? Spunti ricostruttivi per ripensare un luogo comune, Le Regioni, 2011, 821 e S. Parisi, Competenza residuale e “neutralizzazione” del Titolo V,  in Scritti in onore di Michele Scudiero, Napoli, 2008, III,  1597 ss.

[14] Sent. 1 aprile 2011, n.109, Giur. cost. 2011, 1486.

[15] Sentenza 7 aprile 2011, n.112, Giur. cost. 2011, 1509.

[16] Sentenza 7 aprile 2011, n. 114, Giur. cost. 2011, 1565.

[17] Sentenza 27 giugno 2012, n. 164, Giur. cost., 2012, 2233.

[18] Sentenza 20 luglio 2012, n.203, Giur. cost., 2012, 2966.

[19] Sentenze 282/2002 e 322/2009.

[20] Sentenza 12 dicembre 2012, n. 278, Giur. cost., 2012, 4411.

[21] Sentenza 19 dicembre 2012, n.299, Giur. cost.,  2012, 4654, con nota di V. Onida, Quando la Corte smentisce se stessa, ivi, 4699 ss.

[22] Sentenza 15 marzo 2013, n. 38, Giur. cost. 2013, 671.

[23] Sentenza 20 giugno 2013, n.145, Giur. cost., 2013, 2205.

[24] Punto 2.1. del Considerato in diritto.

[25] Sentenza 25 febbraio 2014, n.28.

[26] Su cui da ultimo C. Pinelli, La tutela della concorrenza come principio e come materia. La giurisprudenza costituzionale 2004-2013, Rivista AIC, 2013, soprattutto 5 ss.

[27] Su queste ultime il processo di compressione si era invero già concluso intorno al 2006: cfr. P. Bonetti, La giurisprudenza costituzionale sulla materia “sicurezza” conferma la penetrazione statale nelle materie di potestà legislativa regionale, Le Regioni, 2007, 124 ss., che cita in grande prevalenza casi concernenti le autonomie speciali.

[28] Sentenza 13 gennaio 2004 n.1, Giur. cost. 2004, 1 ss.

[29] D’altronde la letteratura sulle interferenze tra competenze e sulla regolazione degli  intrecci tra di esse, nonché sullo svuotamento di alcune è ormai enorme: v. ad es. R. Bin, Alla ricerca della materia perduta, Le Regioni, 2008, 398 ss.; E. Buoso, Concorso di competenze, clausole di prevalenza e competenze prevalenti, Le Regioni, 2008, 61 ss.; R. Bin, Lavori pubblici: quanto “intangibili” sono le materie enumerate negli Statuti speciali?, Le Regioni, 2010, 1118 ss.

[30] In una diversa accezione parla di inversione dell’onere della prova O. Chessa, La specialità regionale tra leggi di revisione della Costituzione e altre leggi costituzionali, Le Regioni, 2009, 297 ss. Già nei primi tempi del nuovo ciclo di regionalismo G. Silvestri parlava di abrogazione tacita e indeterminata di norme di rango costituzionale (Le Regioni speciali tra limiti di modello e limiti di sistema, Le Regioni, 2004, 1119 ss.), mentre altri (E. Gianfrancesco, L’art.10 della legge costituzionale n.3 del 2001, Giur. cost., 2002, 3312 ss.) preferiva riferirsi ad una sorta di non applicazione.

[31] Così S. Parisi, La potestà primaria alla deriva?, cit., 826 ss.

[32] Così S. Pajno, La sostituzione tra gli enti territoriali nel sistema costituzionale italiano, Palermo, 2007, 238 ss.

[33] Nel testo si utilizza per comodità lo schema di I. Ruggiu, Le “nuove” materie spettanti alle Regioni speciali, cit., 785-793.

[34] Sentenza 13 febbraio 2014, n.23, par. 8 del Considerato in diritto.

[35] Sentenza 10 giugno 2011,  n. 182, Giur. cost., 2011, 2344 ss., con nota di A. Brancasi, La Corte considera rilevante (ma non troppo) la dimensione funzionale delle misure di coordinamento della finanza pubblica.

[36] Sentenza 13 luglio 2011, n. 215, Giur. cost., 2011, 2828.

[37] Massima ripetuta, ad esempio, anche nella decisione n. 13  luglio 2011, n.207, Giur. cost., 2011, 2739.

[38] Sentenza 4 giugno 2012, n. 139, Giur. cost., 2012, 1891. Sulla nozione di principio fondamentale del coordinamento finanziario,  sulla legittimità di norme statali di autoqualificazione in tal senso, la giurisprudenza costituzionale è abbondante ed evolutiva, dalla 353/2004, alla 289/2008, alla 139/2009 e alla 207/2009. Cfr. la sintesi di A. Brancasi, Coordinamento finanziario ed autoqualificazione di principi fondamentali, Giur. cost., 2009, 4534 ss. Condivisibile il suo giudizio per cui anche in quest’ambito la Corte si sarebbe concessa una “progressiva deriva di segno statalista”. Dello stesso autore v. già Continua l’inarrestabile cammino verso una concezione statalista del coordinamento finanziario, Giur. cost., 2008, 1235 ss.

[39] Sentenza 14 giugno 2012, n.151, Giur. cost., 2012, 2080.

[40] Sentenza 20 luglio 2012, n.203, Giur. cost., 2012, 2966.

[41] Sentenza 11 luglio 2012, n. 178, Giur. cost., 2012, 2627.

[42] Sentenza 30 luglio 2012, n. 215, Giur. cost., 2012, 3109.

[43] Sentenza 18 gennaio 2013, n.3, Giur. cost., 2013, 107, su cui Q. Camerlengo, La legge finanziaria friulana per il 2012 davanti alla Corte costituzionale: stabilizzazione del personale, rispetto del patto di stabilità interno, finanza locale, Le Regioni, 2013, 614 ss. Ma v. già la sentenza 23 febbraio 2012, n.30, Giur. cost., 2012, 341, concernente la Sardegna.

[44] Sentenza 15 febbraio 2013, n.26, Giur. cost., 2013, 402.

[45] Sentenza 19 luglio 2013, n.221, Giur. cost., 2013, ***.

[46] Sentenza 24 luglio 2013,n.236, Giur. cost., 2013, ***.

[47] Sentenza 13 novembre 2013 n.263, Giur. cost., 2013, ***.

[48] Sentenza 13 febbraio 2014, n. 23.

[49] Nrg.99/2010, deciso nelle udienze del 25 febbraio e 14 marzo 2014.

[50] Cfr. infatti le sentenze 26 gennaio 2004, n.37, Giur. cost., 2004, 517, e 15 aprile 2008, n.102, Giur. cost., 2008, 1194.

[51] Sentenza 15 dicembre 2010, n.357, Giur. cost., 2010, 5018.

[52] Sentenza 28 ottobre 2013, n. 252, Giur. cost., 2013, ***.

[53] Sentenza 5 aprile 2013, n.60, Giur. cost., 2013, 917. Da ultimo poi il tentativo della  Provincia di sottrarsi al controllo contabile mediante la disciplina della legge di bilancio del 2013 è stato frustato dalla sentenza 10 marzo 2014, n.60.

[54] Sentenza 22 dicembre 2011, n.340, Giur. cost., 2011, 4664.

[55] Sentenza 10 maggio 2012, n.118, Giur. cost., 2012, 1712.

[56] Sentenza 10 marzo 2014, n.41.

[57] Sentenza 24 luglio 2012, n. 207, Giur. cost., 2012, 3017.

[58] Sentenza 26 ottobre 2012, n.238, Giur. cost., 2012, 3570.

[59] Sentenza 16 aprile 2013, n. 71, Giur. cost., 2013, 1068.

[60] Sentenza 20 giugno 2013, n.144, Giur. cost., 2013, 2197.

[61] Sul quale v. ancora R. Bin, “Regionalismo differenziato” e utilizzazione dell’art.116, terzo comma, Cost.. Alcune tesi per aprire il dibattito, Le istituzioni del federalismo, 2008, 9 ss.

[62] Infatti la letteratura pubblicistica sul tema si localizza quasi tutta intorno agli anni 2003-2005,  per poi cessare quasi del tutto: cfr. ad es. A. Ruggeri, Forma e sostanza dell’”adeguamento” degli statuti speciali alla riforma costituzionale del Titolo V (notazioni preliminari di ordine metodico-ricostruttivo), Le Regioni, 2003, 357 ss. e G.M. Salerno, Gli statuti speciali dopo la revisione del Titolo V: aspettative di riforma e vincoli costituzionali, Federalismi.it, n. 12/2004; S. Pajno, G. Verde, Gli Statuti-leggi costituzionali delle Regioni speciali, in P. Caretti (a cura di), Osservatorio delle fonti 2005, Torino, 2006. Ma, per quanto solo per i profili sistematici, v. ancora S. Pajno, La revisione degli Statuti speciali nel sistema delle fonti, Le Regioni, 2007, 747 ss.

[63] Cfr. ad es. P. Giangaspero, I decreti di attuazione dello statuto speciale tra garanzia della specialità regionale ed esigenze di tutela del ruolo costituzionale degli enti locali dopo la riforma del Titolo V Parte II della Costituzione, www.Regione.fvg.it; S.Parisi, La potestà primaria alla deriva?, cit. 874 ss.

[64] Cfr. ad es. V. Nicotra, F. Pizzetti, S. Scozzese (a cura di), Il federalismo fiscale, Roma, 2009, ed in specie G. De Martin, G. Rivosecchi, Coordinamento della finanza pubblica e autonomie speciali alla luce della l. n. 42 del 2009, 335 ss.; A.Lucarelli, Il federalismo fiscale tra processi attuativi e principi costituzionali, Napoli, 2010; G.F.Ferrari (a cura di), Federalismo, sistema fiscale, autonomie. Modelli giuridici comparati, Roma, 2010; J. Woelk (a cura di), Federalismo fiscale tra differenziazione e solidarietà. Profili giuridici italiani e comparati, Bolzano, 2010; F. Palermo, M. Nicolini, Federalismo fiscale in Europa. Esperienze straniere e spunti per il caso italiano, Napoli, 2012; G.G. Carboni, Federalismo fiscale comparato, Napoli, 2013; S. Gambino (a cura di), Il federalismo fiscale in Europa, Milano, 2014.

[65] Da F. Palermo, Comparare il federalismo fiscale: cosa, come, perché, in F. Palermo, M. Nicolini (a cura di), Federalismo fiscale in Europa, cit., 2 ss.

[66] V. IFEL, Rapporto sui fabbisogni standard: Metodologia di stima e determinazione dei costi standard della polizia locale, Roma, 2013.

[67] Cfr. da ultimo G.F. Ferrari, Trasparenza e costi standard, Atti del Convegno annuale degli amministrativisti, Milano, 2014, 351 ss.

[68] Come sostiene ad es. G. Macciotta, Le Regioni che vivono al di sopra delle proprie possibilità, Nelmerito.com, luglio 2008.

[69] Come rileva R. Louvin, Le storie diverse del federalismo fiscale all’italiana, in S. Gambino, Il federalismo fiscale in Europa, Cit., 177 ss. e particolarmente 179-80.

[70] Puntualmente descritta ancora da R. Louvin, Le storie diverse del federalismo fiscale, cit., 183-9. V. in particolare G. Postal, Il concorso delle autonomie speciali agli obiettivi di finanza pubblica: il Trentino-Südtirol: dalle norme di attuazione statutaria del 1992 all’accordo di Milano, Le Regioni, 2011, 937 ss.