ANCI Rivista Dicembre 2011
Approccio flessibile per i territori. – Parla Giuseppe Franco Ferrari

di Andrea Franceschi

Nelle stesse ore in cui nell’Unione Europea si addensano le preoccupazioni sul proprio futuro monetario e ci si interroga su percorsi accelerati di revisione bilaterale dei Trattati sul modello Schengen, IFEL ha riunito a convegno diversi studiosi dei maggiori atenei europei sul tema “Patto di stabilità e governance multilivello. Vincoli europei e finanza locale nelle esperienze nazionali” per fare il punto su quello che si delinea come il baricentro di molte scelte future. In una pausa del convegno abbiamo approfondito questo tema interdisciplinare, tra finanza, analisi economica del diritto e diritto comunitario conversando con il Prof Giuseppe Franco Ferrari, nella sua duplice veste di Presidente IFEL e Docente di Diritto Costituzionale Comparato dell’Università Bocconi.

Presidente, al primo sguardo sembra che il recepimento del Patto di Stabilità negli stati membri a livello del governo locale sia quanto di più eterogeneo nell’esperienza  giuridica dell’Unione… E’ vero. La Francia, ordinamento non lontano dal nostro, ha scoperto di recente la portata politica del Patto applicata al livello di governo locale (la spesa a livello dei 2600 comuni francesi vale circa  il 10% del totale) e ad oggi non esiste ancora un vero e proprio Patto di Stabilità Interno. Disuguaglianza del gettito, complessità della finanza,  assetto dello Stato, aumento della spesa a fronte di massicci trasferimenti statali e politica del debito finalizzato solo agli investimenti ne hanno reso estremamente difficile l’applicazione a livello locale. A conclusioni non dissimili si giunge in Spagna, dove non sono previsti premi per chi rispetta il Patto tenendo in ordine i conti o interventi perequativi per quegli enti che non riescono a rispettarne i parametri di stabilità validi a livello centrale. Per non parlare del vicino Portogallo dove le scelte sono state orientate più da motivi elettoralistici che da obiettivi razionali, generando una situazione di scarsa trasparenza e dubbia disciplina finanziaria sia a livello centrale che locale. Dicasi lo stesso per la Grecia dove fino a qualche tempo fa non era possibile rinvenire alcun vincolo (seppur di natura programmatica) al rispetto del Patto per gli enti locali. Differenze anche maggiori sono infine reperibili in merito alla capacità di indebitarsi. In Spagna l’ente locale potrà accedere al credito solo per perseguire il pareggio di bilancio,  mentre in Austria solo per situazioni straordinarie, in Belgio infine è espressamente prevista l’emissione di titoli di debito. Non possiamo tuttavia sottacere che il Patto di Stabilità nasce in Europa nel 1997 e che ad oggi rappresenta l’unico esempio di politica fiscale multilaterale. Nell’arco di 15 anni ha dimostrato una propria vitalità assumendo un connotato fortemente sanzionatorio, lontano dagli iniziali intenti dissuasivi. Giova ricordare che il Patto è essenzialmente di stabilità e di crescita: una dimensione fondamentale nel momento in cui gli Stati membri lo devono applicare al loro interno.

Come vede il futuro del Patto di Stabilità europeo? Politiche monetarie e politiche fiscali locali come evolveranno? E’ una domanda complessa. Trovo anzitutto singolare che non esista una correlazione tra gli assetti costituzionali dei diversi livelli di governo e le formule normative adottati dai singoli stati membri per dare disciplina al fisco nazionale: stati centralisti hanno dato spazi ampli agli enti locali e viceversa stati federali-regionali hanno preferito una gestione accentrata. L’Euro ha rafforzato la tendenza alla concentrazione politica di pezzetti di sovranità con una modalità diciamo dal basso, ma a questa dinamica non ha corrisposto lo sviluppo di meccanismi capaci di difendere le delicate dinamiche monetarie. Ancora oggi quindi la BCE presiede alla stabilità dei prezzi, ma non ha tutti quegli incisivi poteri di intervento tipici degli istituti centrali di emissione. Ho tuttavia seri dubbi  che trasformare la BCE in debitore di ultima istanza possa dare un contributo serio alla gestione dello stock del debito, in quanto alla fine rischia di risolversi in un incentivo alla spesa pubblica che, come ha cinicamente sintetizzato un parlamentare tedesco, sarebbe un “dolce veleno”  per molti Paesi e quindi per il futuro dell’Europa. La via maestra resta quella del coordinamento fiscale a livello statale/locale ed europeo, anticamera di un Fondo Europeo di stabilità efficiente che, aldilà delle etichette, sia attrezzato per operazioni di mercato. Com’è emerso nel corso del convegno, durante questo processo multilivello non escludiamo che sia necessario ripensare la categoria della “Sovranità”, sempre più lontana dal concetto di “potere” e più vicina a quella dell’ “efficienza” che i cittadini si aspettano nel soddisfacimento della domanda di regole certe e di servizi. L’Italia si è avviata su questo cammino in anticipo rispetto ad altri Stati membri e non sfugge a nessuno che è proprio qui, in questa dinamica che si giocherà molto del “nuovo patto democratico” con i territori se si vuole che fiscalità faccia rima con responsabilità ed equità.

Quali sono le maggiori criticità riscontrate in Italia nell’applicazione del Patto? In Italia purtroppo la tempistica con cui è stato approcciato il tema (penso anzitutto allo storico superamento del criterio della spesa storica e all’introduzione dei costi standard) è stata infelice perché è coinciso con una drammatica contrazione delle risorse disponibili, figlia di una crisi economica senza precedenti. Di certo oggi l’Italia, grazie al sistema dei Comuni (da tempo in sostanziale equilibrio finanziario, anche a costo di sacrificare gli investimenti) può interrogarsi sul senso profondo del Patto di Stabilità e dell’equilibrio di bilancio sotteso che, sia pure tra contraddizioni e difficoltà operative, si sta faticosamente facendo strada sia nella prassi amministrativa sia, nel breve, anche nel dettato costituzionale. Una giusta disciplina di bilancio tuttavia perseguita con meccanismi molto complessi e talvolta farraginosi che (come è stato brillantemente illustrato dal Direttore scientifico dell’IFEL Silvia Scozzese nel corso dei lavori) si è risolta nell’avanzo di bilancio di cassa in pratica obbligatorio,  presupposto per il contributo dei Comuni alla finanza pubblica,  perseguito attraverso tagli dei trasferimenti, sanzioni personali agli amministratori e il blocco di impegni di spesa, indebitamento per investimenti e delle assunzioni. A livello locale ciò ha comportato l’effetto di allungare ulteriormente i già ultrannuali tempi di pagamento dei fornitori di beni o servizi legati alle funzioni essenziali (tra cui, ad esempio, le manutenzioni ordinarie). E per il 2013 ciò varrà anche per i Piccoli Comuni.

E allora qual è la terapia più efficace per ridare ossigeno alle economie locali? Se non vogliamo mortificare le economie dei territori c’è bisogno di un approccio più flessibile, soprattutto in condizioni di ciclo avverso, e consentire a quei Comuni che vogliano ad esempio investire in infrastrutture di “allentare”  il Patto – anche ricorrendo ai residui passivi  – pur nel rispetto del principio di invarianza dei saldi. In termini generali credo che si debba partire da una seria selezione dei comparti e dei progetti altamente strategici per i singoli territori, secondo criteri di sostenibilità economica ed ambientale. In questo senso c’è una enorme necessità di concertazione e di condivisione di dati affidabili e aggiornati, di una piattaforma comune a cui ANCI-IFEL possono sicuramente apportare contributi tecnici e di idee ad alto valore aggiunto. Ci sarà spazio di lavoro per la  Commissione Permanente per il Coordinamento della Finanza Pubblica. Tuttavia anche oggi esistono tuttavia opportunità interessanti tra le pieghe della normativa. Basti pensare alla recente legge di stabilità che (con il decreto di attuazione atteso entro il 30 aprile 2012) equipara  da subito alla riduzione dello stock di debito  i trasferimenti di immobili non strumentali dei Comuni a  veicoli da cedere sul mercato quali i fondi comuni di investimento immobiliari o le SGR anche di nuova costituzione. Un incentivo decisivo per dare corpo ai meccanismi di valorizzazione del patrimonio immobiliare previsti dalle norme sul federalismo demaniale e che – ridefinendo il livello di indebitamento – libera spazio nel bilancio del Comune per interventi strutturali e comunque riabbassa il livello di guardia oltre il quale si renderebbe obbligatoria la riduzione del debito.